Ci avevano detto di non pedalare a Bangkok, che la Thailandia era pericolosa per le due ruote. Ci avevano detto, ed avevamo letto, di cicloviaggiatori investiti, storie tristi di vite piene spezzate dalla velocità delle quattro ruote. Così ci avevano detto ma noi, come spesso accade, abbiamo deciso di fare di testa nostra e di vedere quanto pericolosa fosse.
Una società evoluta abbraccia la bicicletta
La differenza di traffico con la Cambogia si nota subito, appena passato il confine il rumore assordante delle macchine torna a farci compagnia. Ancora assieme ai nostri amici Godimundi, ci fermiamo un attimo a lato strada per riprenderci dall’improvviso frastuono. Accostiamo le biciclette sul muro di un edificio della polizia stradale. Tempo 20 secondi che ne esce un poliziotto sorridente con in mano 4 bottigliette di acqua gelata. Fatte le domande di rito ci chiede se abbiamo bisogno di qualcosa, ci indica il bagno e se ne torna in guardiola. Non proprio la polizia ostile che ci aspettavamo…Trangugiamo l’acqua, decidiamo il da farsi e rimontiamo in sella. Mentre pedaliamo via dall’edificio scorgo una scritta “Rest Area” ed una bicicletta stilizzata subito sotto. Ricollego il tutto e mi rendo conto che le stazioni della polizia stradale sono adibite a stazioni di sosta per i ciclisti. Comincio a chiedermi se davvero questo paese sia davvero così anti bicicletta.
Ci accampiamo per la notte in uno dei pochi spazi disponibili tra i vari campi coltivati, sufficientemente distanti dalla strada per non essere visti. E’ la seconda notte tailandese, la prima l’abbiamo passata in una stazione di servizio dismessa, e l’alta urbanizzazione di questa nazione ci spaventa, sarà facile trovare un angolo per poter mettere la nostra tenda? Il caldo, il rumore continuo del traffico, la scarsità di spazi liberi ci fanno presagire un periodo difficile. Già sentiamo la mancanza dello stridio dei grilli e del canto dei gechi, che hanno accompagnato le nostre notti in Laos e Cambogia.
Al mattino, ancora persi in questa riflessione, salutiamo i Godimundi, che hanno deciso di non pedalare a Bangkok, e ci dirigiamo verso la temuta capitale. L’umore grigio piano piano svanisce attratto dalla curiosità verso una miriade di cartelli gialli che adornano le strade di tutte le cittadine che attraversiamo. Gialli i cartelli, gialle le magliette che indossa la stragrande maggioranza delle persone. Dobbiamo fermarci e cercare di capire cosa sta succedendo. “Bike for Dad” recitano magliette e cartelli, sui quali troneggia la figura esile del Re Bhumibol Adulyadej. Come se fosse la cosa più naturale del mondo ci fermiamo interroghiamo in inglese uno dei passanti, che con naturalezza ci risponde in inglese. Sembra banale ma da quando abbiamo lasciato l’Italia, ad eccezione di Hong Kong, è il primo paese nel quale siamo in grado di comunicare tramite una lingua comune, siamo strabiliati. Scopriamo così che il reggente 88enne, ha deciso di festeggiare il suo compleanno con una pedalata nazionale ed internazionale. l’11 dicembre i cittadini tailandesi di tutto il mondo sono chiamati in strada in sella alle loro biciclette per dimostrare l’affetto che provano verso il Re. Come se in Italia il Presidente della Repubblica chiedesse a tutti i cittadini italiani del mondo di montare in sella alle proprie biciclette nel giorno della Festa della Repubblica, non sarebbe stupendo? Insomma, siamo entrati in Thailandia da meno di 48 ore e l’immagine di nazione anti-bicicletta è già svanita.
Quando l’Asia si veste da Occidente
Bangkok non è certo una città a misura di bicicletta. Il traffico è folle, macchine, motorini, autobus, camion. Le strade sono enormi ed intasate per la quantità di veicoli che vi transitano. Ma nulla che non possa essere affrontato con prudenza e vigilanza. Oltre a noi, altri coraggiosi ciclisti si muovono in questo caos.
I mezzi pubblici non sono certo dei migliori, una unica linea metropolitana sopraelevata (lo Skytrain) copre solo ed esclusivamente il centro. Il costo del biglietto varia a seconda del percorso che si vuole effettuare ed in generale non è economico.
L’alternativa sono gli autobus, costo irrisorio, ma che richiedono tanto tempo a disposizione dato che principalmente sono bloccati nel traffico. Il biglietto si fa direttamente a bordo, dove una bigliettaia con maestria raccoglie gli spicci ed elargisce biglietti, tiene in mano un piccolo astuccio apparentemente magico, introduce le monete, lo scuote e ne esce il biglietto. Anche sull’autobus più affollato non sfugge nemmeno un passeggero, anche se sembra che nessuno voglia sfuggire. Ci sono giorni poi in cui l’autobus proprio non si paga, il perché ancora non c’è dato saperlo.
I più temerari, ad occhio sembrerebbe la maggioranza della gente, scelgono il Moto-Taxi. Allora è possibile vedere donne in tailluer sedute con le gambe di lato, parlare al telefono, mentre il loro autista sfreccia impavidamente nel traffico a velocità folle per risparmiare tempo e accaparrarsi più clienti.
Della Bangkok turistica non vediamo nulla. Il traffico, l’affollamento, il rumore, la confusione ed il costo delle attrazioni, ci spingono a stare maggiormente nel quartiere dove dormiamo. Ci muoviamo verso il centro, con lo Skytrain, solo per riparare la macchina fotografica di Daniele, che purtroppo ha subito qualche danno. Centro fatto di persone imbellettate, uomini e donne alla moda, grattacieli scintillanti, negozi sfavillanti tanto da farci dimenticare dove ci troviamo. Se non fosse per gli odori dello street food tailandese, potremmo essere in qualsiasi altra metropoli del mondo. E’ questo l’effetto della globalizzazione? Costruire società tutte uguali ovunque? Cancellare odori e colori locali per creare qualcosa che sia globalmente più appetibile? Sbrigate le pratiche cittadine, non vediamo l’ora di montare in sella e di scoprire la vera natura di questa nazione. Ci mettiamo un po’ a trovarla. Prima dobbiamo passare il calvario delle grandi località turistiche, affollate non solo da stranieri ma anche e soprattutto da tailandesi. Un aggrovigliamento di macchine lussuose, ristoranti, centri commerciali e residence 5 stelle che nascondono la vista del mare. Sembra di pedalare sul lungomare di Ladispoli, con la sola differenza che qui ci sono scimmie e varani a popolare le già affollate strade.
Non possiamo fare a meno di notare i gruppi di ciclisti che ci affiancano di tanto in tanto in strada. Soprattutto perché è dai tempi dell’Italia che non veniamo affiancati da gruppi di ciclisti “intutinati” in sella a biciclette super costose, e certo non ci aspettavamo di trovarli in Thailandia. L’Asia delle case senza corrente, senza bagno ed acqua è già un ricordo, lontanissimo. Più di un anno di viaggio cancellato da un mondo troppo troppo uguale a quello che abbiamo lasciato.
Per fortuna ci sono i templi buddisti a riportarci ad una dimensione a noi più congeniale. Ricetture non turistiche per viandanti consumati dal frastuono del benessere. Ci accoglie sempre un grande sorriso ed una mano protesa con cibo, acqua e aiuto. Un tempo ricovero per indigenti, dispongono dei migliori comfort, spazio, ombra, silenzio, bagni e docce. Il benessere diffuso li ha completamente svuotati, tanto da ridurne alcuni a meravigliose strutture abbandonate. I nuovi templi vengono eretti con funzionalità completamene diverse, usando materiali più accattivanti per la vista, pensati per una nuova platea di fedeli.
Le radici non si cancellano
Nonostante l’occidentalizzazione coatta di questo paese, respiriamo ancora Asia. Nei sorrisi e nell’accoglienza delle persone, nella disponibilità senza secondo fine di un popolo ancora molto attaccato alla propria cultura, ancora pervaso dal senso genuino di ospitalità. Tanto da farci ritrovare ospiti di una struttura turistica sull’isola di Koh Lipe. Eravamo alla ricerca di un posto dove mettere la nostra tenda, quando una giovane coppia propriertaria di un residence ha deciso che dovevamo dormire, gratis, in una delle stanze del residence, con tanto di colazione in camera. Non solo ci ha colpito il gesto, ma ci ha colpito il loro modo di vivere. Già proprietari di altre strutture, la lora abitazione sull’isola è una baracca di lamiera, composta da un angolo cottura ed uno spazio dove dormire. Le lussuose stanze del residence sono ad uso esclusivo dei turisti. Koh Lipe è un piccolo paradiso, lontano dalla vita mondana ed affollata delle più famose isole e penisole sul Mar dell’Andamane, come Puhket, Ko Phi Phi o Krabi. Arrivare qui con la bicicletta carica è un’impresa, più volte abbiamo visto le nostre biciclette fluttuare pericolosamente al disopra di cristallini fondali marini, con conseguente battito cardiaco accelerato, impresa ripagata dalla tranquillità e la bellezza del posto.
Su Koh Lipe abbiamo l’opportunità di parlare con un pescatore locale, che con commozione ci racconta di quando le sponde di questa isola erano colme di fauna marina e coralli. Come conseguenza del traffico di barche e della pesca con le bombe a mano perpetrata dalla Malesia, non resta che una timida striscia di vita al largo delle coste dell’isola. E viene da chiedersi cosa ne sarà di questi luoghi a mano a mano che il benessere e, di conseguenza, la necessità prenderanno il sopravvento. Quanti decideranno ancora di vivere secondo la propria tradizione, mantenendo il delicato equilibrio di questi luoghi meravigliosi?
Facile, economica, stimolante, accogliente, solare, commovente, se dovessero chiedermi in quale paese consiglierei di andare per una prima esperienza cicloturistica, senza dubbio direi la Thailandia.
Brevi fatti sul viaggiare in Thailandia:
– I templi sono dei posti magnifici in cui campeggiare, è sempre bene chiedere il permesso ai monaci o monache che lo abitano.
– Girare in bicicletta richiede, come ogni altro paese del mondo, la massima prudenza.
– La cucina thailandese è meravigliosa. Il nostro piatto preferito è il Pad Thai, noodles di riso saltati in padella con uova, pollo, gamberi e germogli di soia.
– Anche se difficile, provate a disegnare un percorso che non passi per le più famose località turistiche, magari il mare sarà meno bello ma le persone saranno meravigliose.
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