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E la bella Trinacria, che caliga / tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo / che riceve da Euro maggior briga, / non per Tifeo ma per nascente solfo, / attesi avrebbe li suoi regi ancora, / nati per me di Carlo e di Ridolfo, / se mala segnoria, che sempre accora / li popoli suggetti, non avesse / mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
cit. Dante – Paradiso Canto VIII

Il treno degli emigranti

Da tempo desideravamo visitare la terra dei vespri, dei limoni, del pistacchio, del gelato con la brioche, degli arancini, della mitologia greca, della storia moderna, dei gelsomini, della granita, del barocco, dell’ospitalità… in una unica parola la Sicilia. Dopo una estenuante ricerca del mezzo più idoneo ed economico per trasportare noi, le bici ed i bagagli per otto giorni di tour in autonomia, decidiamo per il treno notturno ed il 25 aprile all’ora di cena siamo sulla banchina della Stazione Termini intenti a smontare ed impacchettare le nostre biciclette. Le regole per il trasporto delle bici su Trenitalia sono davvero discordanti, nonostante nel sito sia espressamente indicato che si possono portare debitamente impacchettate e smontate, lo sguardo sconcertato del responsabile di banchina ci fa capire che avremo da discutere per prendere il treno. Fortunatamente un capotreno ciclista capisce la nostra esigenza ed espressa la sua invidia per il viaggio che ci apprestiamo ad affrontare, ci sistema in una cabina tutta per noi dove poterci accomodare con tutto il nostro ingombro senza dare fastidio a nessuno.

L’indomani mattina arriviamo a Palermo, giusto il tempo di gustare il nostro primo buonissimo cannolo e siamo già in sella alle biciclette. L’obiettivo è traversare la Sicilia per raggiungere Sciacca, tramite la SS624, per spostarci poi lungo la costa Sud verso Siracusa. Il primo giorno sono in programma 95 chilometri di strada a scorrimento veloce da fare in un colpo solo. Ma i piani si sa che sono fatti per non essere rispettati. Così percorsi i primi 20 chilometri di salita sulla strada più pericolosa della nostra vita, con il terrore di essere investiti dai tanti camion e macchine che viaggiano a folle velocità, senza corsia di emergenza e con continui lavori che riducono le dimensioni della carreggiata, decidiamo di uscire da questo percorso infernale per prendere una più tranquilla provinciale che ci porterà nell’entroterra siciliano. Come Dante lasciamo l’inferno per avviarci verso il paradiso.

Al culmine di una estenuante salita, una gradevole discesa ci porta a San Giovanni Jatu, dove, causa pioggia e stress per la statale appena percorsa, decidiamo di fare la nostra prima tappa. Fermi all’unico supermercato del paese, diventiamo subito l’attrattiva del momento e da subito capiamo che l’ospitalità siciliana non è una legenda ma una meravigliosa realtà. Tutti si prodigano per darci informazioni su come raggiungere la costa sud nel modo più veloce evitando la statale mortale, oppure a fornirci indicazioni su dove posizionare la tenda per passare la notte. La proprietaria del negozio decide persino di andare a casa per stamparci il percorso estrapolandolo da internet! Mentre il padre ci tiene a precisare che l’entroterra siciliano merita un maggiore interesse rispetto alla costa “Mi raccomando però, fate attenzione che non c’è molta gente!” sibillino così ci saluta. Riempite le bisacce di cibo, di buoni consigli, di tanti sorrisi e dello stupore nell’incontrare due cicloviaggitori italiani ci avviamo nel luogo prescelto per trascorrere la nostra prima notte siciliana al riparo di un bivacco improvvisato ma assolutamente provvidenziale.

Bivacco improvvisato sotto un tavolino

Bivacco improvvisato sotto un tavolino

Un poco inumiditi dalla notte piovosa ci svegliamo e decidiamo di percorrere la strada che ci porterà a vedere i paesi purtroppo rinomati per le tristi vicende mafiose, a cominciare da Corleone. Ci fermiamo in un piccolo bar gestito da ragazzi molto giovani ai quali chiediamo indicazioni sulla strada da percorrere per raggiungere Corleone da San Giovanni Jatu, e senza dare molto peso all’espressione di una di loro “Ma come pensano di arrivarci da qui?” e alla risposta dell’altra “Tanto sono in bici!”, accettiamo il caffè offerto e l’acqua fresca e partiamo. Percorsi i primi chilometri capiamo il perché di quelle parole, una enorme frana ha completamente sepolto la strada che porta a Corleone, dall’erba cresciuta sul fango capiamo che è lì da molto tempo. Proviamo ad avanzare biciclette in spalla, ma la strada non c’è più, inghiottita dal fango, dall’erba, dai campi coltivati, dall’incuria della provincia e forse dalla volontà degli abitanti dal cuor di leone di isolarsi dal resto della Sicilia. Nè le macchine nè le bici possono passare.

la frana

Biciclette e gambe infangate ripercorriamo parte della strada fatta e deviamo su una stradina secondaria, qui comincia la Sicilia rurale. Via l’asfalto, solo sterrate ricoperte di fango e ciottoli. Difficile toglierci il sorriso dal viso per l’avventura che stiamo vivendo. Eh sì proprio questo cercavamo! Dopo qualche chilometro, tante buche e salite di campagna ci ritroviamo sulla strada provinciale che ci porterà a Corleone. Campi a perdita d’occhio, ricoperti di fiori ed erba verde, di un verde che proprio non ti aspetti in una terra che soffre la siccità. Un bella salita ci introduce al paese di Don Vito, al bar centrale c’è un gran via vai di persone e dalle foto appese al muro capiamo che qui “Il Padrino” è una forte attrattiva per gli stranieri. In effetti nel tempo che siamo fermi per gustarci un buon gelato ed un pezzo di pizza, fanno capolino diversi turisti, tra cui una simpatica coppia di francesi che viaggia a bordo di un enorme Quad che potrebbe portare loro, noi e le nostre bici! La tappa a Corleone prevedeva anche la visita del CIDMA (Centro Internazionale della Documentazione sulle Mafie e del Movimento Antimafia) purtroppo però chiuso in quanto fuori stagione. Non ci resta quindi che attendere la fine della pioggia godendo della presenza dei vari avventori del bar, unico punto di ritrovo di questo paese silenzioso. La strada in uscita da Corleone ci rivela un paese inaspettato: un gioiello incastonato nella roccia, con scalinate in maiolica e scorci da dipinto.

corleone

La nostra meta successiva è Campofiorito che è anche il posto deputato ad ospitarci per la turbolenta notte di pioggia. Sarà il nome, sarà che di solito sono i posti più tranquilli per dormire, fatto sta che piazziamo la nostra tendina a ridosso del cancello del cimitero del paese per trascorrere la notte. Se ne vanno così i nostri primi due giorni nella terra di Sicilia, il primo impatto con il traffico di Palermo e la strada a scorrimento veloce ci hanno davvero destabilizzato, ma, come spesso accade anche nella vita, è bastato uscire fuori dal sentiero tracciato per cominciare a scoprire la regione che abbiamo sognato.

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