E così dopo circa 7 mesi, 8100 km e tante pedalate siamo arrivati qui, sulle rive del Mar Caspio. Per l’esattezza ora il Mar Caspio lo stiamo addirittura attraversando a bordo di Balaken, una nave cargo che ci ha fatto penare una lunga attesa prima di salpare ma che ora ci sta portando in Kazakhastan. Tra l’altro Balaken non è una nave qualsiasi, la sua storia sembra combaciare perfettamente con l’avventura che stiamo vievendo. Infatti il secondo di cabina ci ha raccontato che Balaken è nata in Croazia e per portarla qui, sul Mar Caspio, mica l’hanno messa su un aereo! Eh no, Balaken è salpata da Reijka ed in 40 giorni di navigazione ha attraversato il Mar Mediterraneo, lo stretto di Gibilterra, costeggiato l’Europa a Nord, è entrata a San Pietroburgo e, tramite vari canali, ha raggiunto il Volga per navigarlo tutto fino al Mar Caspio. Non stiamo parlando di una barchetta a remi, ma di un bestione in grado di trasportare fino a 40 vagoni di un treno! Non oso immaginare la faccia di coloro che, magari a pesca in uno di quei canali, una mattina alle 5, si sono visti passare questa cosa davanti. Probabilmente lo stanno ancora raccontando a parenti ed amici. Comunque, la storia di Balaken ha sconvolto anche noi, ed in parte ci ha fatto dimenticare tutta la fatica e lo stress che abbiamo subito per prenderla. Forse perché nel suo lungo viaggio, vi abbiamo riconosciuto il nostro. Anche se il nostro non finisce qui sul Mar Caspio, ma certo fa effetto sapere che stiamo navigando su quella macchia blu, così lontana da casa nostra, quella macchia blu che solo a nominarla quando si studiava geografia a scuola, sapeva di remoto. Ed invece ora ci siamo sopra e due settimane fa c’ho persino bagnato le mani, commuovendomi per l’emozione del momento.
Di fatica ne abbiamo fatta per arrivarci e negli ultimi mesi, con l’arrivo dell’inverno, è stato ancora più difficile. Per fortuna a rendere il viaggio meno duro ci hanno pensato le tante persone che abbiamo incontrato e le tante esperienze vissute.
La Turchia islamica
A cominciare dalla Turchia, dove il semplice invito a bere un “çai” (tè in turco) si trasformava spesso in invito a mangiare o dormire. Ci siamo resi conto che nei due mesi passati nella terra degli ottomani, di Ataturk e dell’Islam, abbiamo utilizzato la tenda pochissime volte, soprattutto nelle zone più fredde dove quasi mai ci hanno lasciato dormire all’aperto! La parola “misafir” (ospite in turco) ha davvero un significato profondo ed è realmente radicata nella cultura di questo popolo. Fin dal primo invito ci siamo posti la domanda “perché?” Perché ci offrono il pranzo? Perché ci aprono le loro case per farci dormire al caldo? Perché si sperticano per aiutarci? La risposta, in parte, ci è arrivata una sera in un paesino sperduto a qualche chilometro da la valle di Ihlara. Nella disperata ricerca di un posto per dormire abbiamo incontrato due ragazzi sui 16 anni che ci hanno accompaganato in una casa in costruzione, indicandocela come luogo perfetto per dormire. Fin qui nulla di speciale, se non fosse che, dopo 30 minuti, sono tornati con un fascio di legna ed un busta.
Ci hanno acceso il fuoco e portato del cibo che abbiamo consumato in 3 giorni. Quando gli abbiamo chiesto perché lo stessero facendo hanno risposto “perché lo dice Maometto”. Già perché nei 5 dettami dell’islam c’è anche quello di compiere una buona azione al giorno. ” Caspita! Quindi c’è del buono nelle religioni!” questo è stato il mio primo pensiero, il secondo, molto più complesso, mi ha portato a riflettere su quanta influenza ha la religione in alcuni popoli e quanto l’interpretazione delle parole possa portare ad una forma più o meno pacifica di devozione. Nella potenza della risposta di questo ragazzo di 16 anni ho, in parte, capito come sia possibile la nascita di seguaci fondamentalisti dediti alla violenza…tutto dipende da come si interpretano, o da come ci fanno interpretare, i precetti, gli insegnamenti e la storia di una religione. Non sono ancora riuscita a sviluppare un pensiero univoco su quanto le religioni possano essere un bene o un male per una società civile, ma nei due mesi in Turchia ho avuto modo di apprezzare l’ospitalità e l’amicizia di persone devote o meno. Forse il 70% di chi ci ha ospitato l’ha fatto perché “lo dice Maometto” o forse semplicemente per il piacere di farlo, noi comunque abbiamo scoperto un paese ospitale, giovane, laborioso con paesaggi straordinari ed una varietà culturale incredibile.
Soprattutto abbiamo scoperto un paese dove le poste statali funzionano! Abbiamo spedito un pacco da Kayseri ad Istanbul (circa 600 km di distanza), 4 kg di peso per un costo di meno di 5 euro, il postino ha detto che sarebbe arrivato in due giorni e così è stato. E quando gli abbiamo detto che in Italia sarebbe costato il doppio ed avrebbe impiegato il doppio del tempo, ha risposto “Ma qui in Turchia noi lavoriamo!” Cosa avreste risposto voi? Noi abbiamo cordialmente sorriso e siamo scappati via. Dalla Turchia in poi la nostra mente ha cominciato davvero a lasciare l’Europa alle spalle, a stupirsi positivamente e negativamente di quanto i nostri occhi vedevano ogni giorno.
Sakartvelo, la Svizzera caucasica
La Georgia ci ha sorpreso con il suo essere la Svizzera del Caucaso, di certo non a livello economico, ma paesaggistico. Montagne, fiumi, alberi, una produzione di vino incredibile ed una varietà di cibo che oggi,qui su Balaken, un poco rimpiangiamo. I georgiani non sono persone sorridenti, in parte ci ricordano i bulgari, ma al nostro passaggio non perdevano occasione di invitarci a casa per dormire, mangiare o bere (rigorosamente vodka!)! Una gelida notte l’abbiamo passata a casa di Giulietta e la sua famiglia. Ci capivamo a gesti e ci siamo lo stesso fatti due risate mangiando degli ottimi spiedini alla brace e bevendo qualche bicchiere di rakia (molto simile alla nostrana grappa barricata). Giulietta ci ha poi mostrato la sua coltivazione di funghi che utilizza per arrotondare la fine del mese.
Già perché in Georgia (che in georgiano si chiama Sakartvelo) dal crollo della ex unione sovietica tutti si arrangiano per arrivare alla fine del mese. Come i genitori di Nana, che ci ha ospitato per una settimana a Gurjaani. La mamma ingegnere ai tempi dell’URSS girava i tutti i paesi della potenza rossa per insegnare l’utilizzo dei primi calcolatori, il padre, fisico nucleare, lavorava sempre per una industria sovietica. Dopo il crollo dell’URSS entrambi hanno perso il lavoro ed oggi sono una nonna a tempo pieno lei, intendo proprio 24 ore su 24, ed un tassista lui. Non c’è rimpianto nei loro occhi e nelle loro parole ma una dignità ed una forza che sorprendono. È un popolo forte della propria storia, tutta racchiusa nella propria lingua, unica al mondo e con un suono antico che affascina l’orecchio e la vista.
Tiblisi, la capitale, è un fermento. Tutto è nuovo e tutto è antico. La caratteristica città vecchia, fatta di vicoli stretti sovrastati da ballatoi in legno che spesso fanno temere un crollo improvviso, è piacevolmente affiancata da opere architettoniche contemporanee. Come il “ponte della pace”, opera di un italiano, sul fiume Mtkvari, o la funivia e la funicolare, opere di trasporto super efficienti e moderne. A proposito di trasporti, a Tbilisi c’è da rimanere a bocca aperta. Una fitta rete di autobus copre tutta la città, con tempi di attesa cortissimi e ad un costo davvero ridicolo, 0,50 lari ovvero 20 centesimi di euro. E tutti, ma proprio tutti, pagano il biglietto dato che ad ogni fermata sale un controllore! Se l’autobus non dovesse andare bene si possono sempre prendere i minibus, che funzionano esattamente come ad Istanbul, la metropolitana ed i taxi, con questi ultimi bisogna sempre trattare il prezzo che non supera quasi mai i 4 lari, ovvero 2 euro. Magari dipende dal fatto che acquistare una macchina è davvero costoso, fatto sta che di possibilità per muoversi ce ne sono molte, ciò che non abbiamo visto sono le biciclette.
Tutta la Georgia, come Tbilisi, è una particolare armonia di moderno e arretrato. Nelle piccole cittadine spesso le strade non sono asfaltate ma in qualsiasi angolo è possibile trovare dei box telematici che permettono di fare le più disparate operazioni: acquistare biglietti del treno, ricaricare il telefono, pagare le bollette, ricaricare la tessera dei trasporti, ed altro ancora. Riflettendoci, in effetti, per il cittadino è più importante avere la strada asfaltata o la vita semplificata nelle operazioni quotidiane?
Azerbaijan, il paese dai due volti
In Georgia è stato un po’ come tornare in Europa per poi essere nuovamente catapultati in Asia una volta attraversato il confine con l’Azerbaijan. Che di primo impatto c’è sembrato un paese con davvero poco da offrire, paesaggi desertici e cittadine grigie con strade polverose e molto dissestate, il cui ingresso è pomposamente evidenziato da portoni fintamente antichi, che ricordano molto le scenografie del teatro. A rendere interessanti le giornate di pedalata fino Baku sono state le tante persone che si accalcavano attorno alle nostre bici ad ogni sosta (una volta ne abbiamo contate più di venti) riempiendoci di domande, ed i venditori ambulanti che coprono la strada che porta fino alla capitale. Venditori ambulanti non nel vero significato del termine, ma persone che al lato della strada sventolano tacchini, conigli, pesci..a volte vivi, a volte meno! Insomma l’Azerbaijan di primo impatto c’è sembrato un gran caos, fino a quando non abbiamo fatto ingresso a Baku.
Una enorme bandiera sventola proprio all’inizio della città, come a voler dire che l’Azerbaijan comincia qui, ed in effetti potrebbe essere così. Si capisce immediatamente che tutta la ricchezza del paese è concentrata nella sua capitale. Grattacieli che di notte diventano uno spettacolo di luci, un lungo mare di lampioni colorati, panchine ed ampi spazi per le persone. Tra i palazzi fintamente art decò, enormi negozi di Valentino, Versace, Armani. Donne in pelliccia, Suv e super macchine. Ma tutto ai nostri occhi appare finto, di facciata, e durante la nostra permanenza abbiamo capito che è così. Baku vuole apparire una città Europea, scintillante, vivace e benestante, vuole mostrare le sue ricchezze basate solo ed esclusivamente sulla effimera vendita del petrolio. Capiamo che vuole essere Europea anche dal fatto che qui si svolgerà la prima edizione dei “Giochi olimpici europei”, che ancora stiamo cercando di capire cosa siano!
Può essere Europea una città che dietro il mega negozio Armani cela case del dopoguerra senza riscaldamento e che per arrivarci bisogna camminare in vicoli di fango che di notte sono senza luce? Dove l’autista dell’autobus può cambiare percorso della propria linea a seconda del traffico? Già, l’autobus a Baku è una sorta di grande taxi, se si sta camminando per strada, anche fuori dalla fermata, basta agitare la mano per prenderlo. Con 20 qepik, circa 20 centesimi, vai dove vuoi. Soldi che si pagano all’autista direttamente, e che, pur senza la presenza di controllori, tutti ma proprio tutti pagano! Perché pagano? Perché sanno che quei soldi sono ciò che permetterà all’autista di arrivare a fine mese!
Insomma di cose ne abbiamo viste e vissute durante questa piccola parte del nostro viaggio. Ora siamo qui su questa nave, in attesa di attraccare ad Aqtau e cominciare l’avventura nella steppa invernale.
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