Ad Istanbul di avventure ne abbiamo vissute parecchie, i racconti che seguono sono in ordine totalmente casuale così come in maniera totalmente casuale questi si sono verificati.
Chumuryet Bayrami
La sera del 28 ottobre riceviamo un messaggio di Serkan che ci chiede se vogliamo partecipare alla festa della repubblica il giorno successivo. Partecipare nel senso di unirci ad un gruppo di ciclisti che, almeno così crediamo, pedaleranno per le strade della città per sensibilizzare l’opinione pubblica. Così la mattina del 29, come al solito in ritardo, inforchiamo le biciclette e ci scapicolliamo al luogo dell’appuntamento. Appena usciti dalla metropolitana (per fare prima abbiamo usufruito di questo bel mezzo) ci siamo ritrovati davanti a qualcosa di incredibile. Altro che sfilata di protesta! Carri armati, camionette della polizia, cadetti della marina, tutti in tiro per sfilare davanti al sindaco di Istanbul. Ed in tiro ci sono anche centinaia di ciclisti, noi compresi, che con le loro silenziose due ruote passeranno davanti alla tribuna delle autorità ed ai cittadini!
È così che in maniera del tutto bizzarra ed inaspettata ci ritroviamo a festeggiare la repubblica turca, noi che difficilmente festeggiamo quella italiana. E ci ritroviamo a farlo, a nostro avviso, nel modo più corretto: un corteo di cittadini davanti ai cittadini. Un corteo che vuole dimostrare ad una parte dei 20 milioni di abitanti di questa pazza megalopoli, che andare in bicicletta è bello, che unisce e soprattutto fa bene alla salute, nel senso vero del termine, di una nazione. Forte è stata l’emozione di ricevere applausi, fischi di approvazione e tanti saluti solo perché eravamo in sella alle nostre biciclette. Proprio mentre sfilavamo davanti ai cittadini di Istanbul ed al suo sindaco, abbiamo vissuto le parole già pronunciate dall’amato Primo Ministro Ataturk: “Le Autorità, senza condizionamenti o riserve, appartengono alla nazione”. Ed è sulla base di queste parole che in in Turchia la festa della Repubblica è soprattutto la festa dei cittadini.
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Un simpatico dottore
Cemil non si sente bene, in realtà ha solo un raffreddore ma dato che deve fare lezione agli studenti nel weekend, vuole mettersi subito in forze, per cui decide di andare all’ospedale e noi di accompagnarlo. L’ospedale in realtà è una clinica privata a due passi da casa sua. Entriamo, parla con l’infermiere all’ingresso e poi sparisce dietro la reception. Dopo pochi minuti l’infermiere fa capolino e con fare poco amichevole ci fa cenno di seguirlo, forse Cemil è molto malato e sospettano siamo noi la causa. Viste le recenti notizie di casi Ebola ad Istanbul chi vediamo già in quarantena in questa piccola clinica! Fiu….pare che l’infermiere ci abbia chiamato solo per farci vedere come sta il nostro amico. Sdraiato, pallido, sul lettino con una flebo nel braccio. Pare che qui l’influenza non si curi con la tachipirina ma sparando in vena tutte le vitamine esistenti. Sia io che Daniele siamo stanchi morti, è quasi mezzanotte e gli occhi stentano a state aperti, ma vogliamo fare compagnia a Cemil per cui resistiamo qualche minuto chiacchierando ai piedi del suo lettino. Dopo poco il nostro amico capisce la criticità della situazione, un segno forse sono i miei occhi a mezz’asta, e ci intima di andare a casa. Noi, ovviamente, non ce lo facciamo ripetere due volte e ci precipitiamo verso l’uscita. Ma sulla soglia ci blocca quello che è evidente essere il medico di turno. Ci chiede se siamo noi gli italiani e ci invita nel suo studio… Forse davvero temono siamo contagiosi! Ci ordina di sederci e dopo qualche imbarazzante minuto di silenzio irrompe in un inglese improbabile, dicendo che ha iniziato da poco a studiare la lingua e vuole fare esercizio..con noi, a mezzanotte! Nonostante la mia testa ciondolante e lo sguardo vitreo, lui va dritto per la sua strada. Parla, parla, ci chiede come facciamo a mantenervi in viaggio, coda ne pensiamo della Turchia. È talmente assetato di lingua inglese che rimbalza le sue domande da me, che non ho la forza di rispondergli, a Daniele che ha ancora un minimo di lucidità. Ci lascia andare solo quando Cemil fa capolino nella stanza (quasi un’ora dopo) e lo fa dandoci il suo telefono cellulare per le emergenze, anche se non capiamo se nostre sanitarie o sue linguistiche, ed augurandosi che il mondo viva in pace e serenità.
Un piacevole ritorno a scuola
Cemil insegna arte in una scuola superiore per ragazzi con problemi mentali. Ha parlato ai suoi alunni ed agli altri professori di noi, e loro non vedono l’ora di conoscerci. Così una mattina, in compagnia del nostro fido Yasin, montiamo sul minibus e ci avviamo alla scuola. Appena varcato il cancello ci rendiamo conto di essere in un posto speciale. Veniamo subito circondati da tanti ragazzi, dai visi puliti e dagli sguardi incuriositi, qualcuno parla persino inglese. All’apparenza comuni giovani studenti delle elementari e delle medie, in realtà ognuno di loro ha una particolarità. Sono ragazzi autistici, o con gravi ritardi mentali. La scuola li prepara al mondo del lavoro, le materie che devono seguire sono tecniche, pratiche. Non essendo un’esperta del settore non saprei dire se è un bene o un male tenere questi ragazzi all’interno di un unico istituto, anziché tenerli in classi miste come avviene da noi in Italia. Di certo c’è che, come ci spiega Cemil, prima dell’apertura di questi istituti i ragazzi venivano tenuti in casa ed ora invece hanno la possibilità di riceve un’educazione e di entrare nel mondo del lavoro. Per noi è stato un piacevole incontro e ci siamo emozionato nel sentirli cantare in coro l’inno della Turchia, in preparazione della festa della repubblica, un coro perfetto di voci intonate all’unisono nel quale non c’è percezione di diversità se non quella singolare e meravigliosa del proprio tono di voce.
All’ora di pranzo siamo dovuti correre via per montare in sella alle nostre bici ed andare alla scuola femminile religiosa di Eyup. Dove i nostri amici Serkan e Cengiz, nell’ambito di un progetto nazionale rivolto ai giovani, hanno organizzato una conferenza nella quale dovremo raccontate alle studentesse della scuola il nostro progetto di viaggio. Assieme a noi, anche Sun presenterà il suo viaggio. Il progetto è molto interessante e si pone come obiettivo quello di avvicinare i giovani, soprattutto di scuole di stampi religioso, al mondo dello sport e di altre attività extra scolastiche. Cengiz, come esponente dell’associazione Pedallıyorum, si occupa di insegnare alle ragazze ad andare in bicicletta. Insegna loro, non tanto come pedalare, ma come farlo nel traffico e all’interno di un gruppo. Oltre a questa attività, le ragade seguono corsi di karate, fotografia, coreano ed altre attività di certo non comuni in una scuola femminile islamica. Tant’è che ai nostri occhi appaiono come ragazze sveglie, dinamiche, indipendenti, affatto corrispondenti allo stereotipo di donna emarginata. Me ne rendo conto ancora di più quando incappo nei loro profili Instagram. Mai viste ragazzine così accattivanti. Finisco nei loro profili perché alla fine della conferenza è stato un continuo di selfie con me, Daniele e Sun che sono stati prontamente condivisi sul famoso social. Difficile poi spiegare la reazione delle ragazze nei confronti di Sun, un totale delirio, schiamazzi, urla, spintoni per fare foto, l’hanno accolto nemmeno fosse la rock star più famosa di sempre!
Le nostre foto di classe
Mai fidarsi
Serkan, da buon amico qual è, ci ha invitati per una tipica colazione turca a casa sua. Anche se abita dentro Istanbul, dalla casa in cui siamo ospiti, sono almeno 25 chilometri che decidiamo comunque di percorrere in bicicletta. Non potevamo certo sapere che avremmo dovuto pedalare una salita al 15% per arrivare a destinazione! Ad ogni modo riusciamo ad arrivare, sudati ed affamati. E una splendida giornata di sole, Serkan e la moglie ci salutano sorridenti dalla finestra di casa, lassù al quarto piano dove le bici non possono salire. Le leghiamo al palo proprio fuori al portone, tanto ci hanno assicurato che il quartiere è tranquillo. Siamo già sul pianerottolo quando Daniele esclama “Il contachilometri! L’ho lasciato attaccato alla bicicletta! Che dici, scendo a prenderlo?” – “Ma no, figurati. Dice che non toccano mai nulla…”
Ci sediamo a tavola che è imbandita come nel più grande giorno di festa. E’ piena di ogni ben di dio della cucina turca. Tahin (una salsa a base di sesamo) Pekmek (salsa a base di gelso che si mischia al Tahin, per renderlo meno forte) uova con sucuk (una succulenta salsiccia di manzo) miele, pane, formaggi vari ed altre specialità del mar nero, il tutto accompagnato da un buonissimo çay. Ci strafoghiamo fino a non riuscire a respirare e parlare, ci godiamo la serenità e la piacevole compagnia di Serkan e la sua famiglia, tra chiacchiere sulla religione, sulla politica e sulla strada che faremo per andare in Georgia. Al momento di riprendere le biciclette esplode la tragedia. Qualcuno ha tentato di portare via il computerino dalla bicicletta di Daniele, fortunatamente non c’è riuscito ma sfortunatamente nel tentativo di staccarlo l’ha praticamente rotto staccando i fili che provengono dal magnete, per cui ora non registra più i dati che manda la ruota mentre gira. Tragedia per noi che non possiamo più registrare le informazioni, tragedia per Serkan che ci aveva assicurato di vivere in un quartiere tranquillo. Eppure noi che veniamo da Roma dovremmo saperlo che non esiste un posto “tranquillo” ed è sempre bene non lasciare nulla in vista!
Vabbè lezione imparata, ma ora come si fa con il contachilometri? Nessun negozio di biciclette ad Istanbul tratta questa marca, in più il nostro è un modello particolare poiché fornito anche di altimetro, fondamentale durante le lunghe salite del nostro progetto. Potremmo ricomprarlo su internet e farlo spedire dalla Germania, ma ricevere materiale in Turchia è molto laborioso, anzi, oneroso a causa della dogana. Decidiamo di provare con la riparazione che richiede però un lavoro di fino, bisogna dissaldare e saldare delle piccole parti, ci affidiamo quindi ad un elettricista vicino casa di Cemil. Quando rientrano dall’operazione Daniele è nero come la pece, mai visto così arrabbiato. E’ evidente che l’elettricista non lavora di fino, ed infatti il computerino ancora non funziona, un più a causa della nuova saldatura non si riesce a richiuderlo. La disperazione aumenta, forse bisogna ricomprare il tutto, fino a quando non torna Yasin e con il suo fare calmo ci dice che il fratello è un provetto elettricista. Il nostro scetticismo scompare solo nel momento in cui vediamo comparire il fratello con tutti gli attrezzi del mestiere. Nonostante la giovane età, è meticoloso, preciso e sa il fatto suo. Succhia lo stagno di qua, fondi lo stagno di là, tempo un’ora ed il problema è risolto.. finalmente possiamo tornare a conteggiare i nostri chilometri!
Insomma mai fidarsi di chi dice che un posto è tranquillo e mai fidarsi dell’apparenza!
La riparazione
Storie di minibus
Di avventure sui minibus ne abbiamo vissute parecchie. A cominciare dal nostro primo giorno ad Istanbul quando il nostro futuro padrone di casa ci ha chiamato al cellulare e per accertarsi che avessimo preso il mezzo giusto ha voluto parlare con l’autista, il quale, senza scomporsi più di tanto, ha preso l’apparecchio in mano, l’ha portato all’orecchio ed ha cominciato a parlare.
Oppure quella volta che alla fermata del minibus chiediamo all’autista se va nella nostra direzione, lui fa segno di no, poi ci pensa un attimo, blatera qualcosa con le altre persone intorno, ed alla fine ci fa cenno di salire. Noi siamo poco convinti, ma saliamo e paghiamo il dovuto. Dopo circa 10 minuti con una manovra azzardata, strombazzando si affianca ad un altro minibus. Urla qualcosa dal finestrino all’altro autista, poi si gira ed urla anche a noi qualcosa che interpretiamo come uno “scendete e prendete l’altro minibus che va dove dovete andare!” Naturalmente eseguiamo quanto ordinato e montiamo, in mezzo alla strada con il traffico bloccato, sull’altro minibus. Arrivati a destinazione, scendiamo dal minibus e l’autista ci fa cenno di pagare..”ma noi abbiamo pagato l’altro!” gli diciamo e lui con un “chiaro gesto” ci fa intendere che non apprezza ma che va bene così.
La nostra natura Dervish
Una sera, su indicazione di Serkan, andiamo ad assistere allo “spettacolo” dei Dervishi rotanti, ora definirlo spettacolo a mio avviso è davvero poco edificante in quanto si tratta in realtà di una vera e propria preghiera nella quale i Dervish cercano di creare una connessione tra dio e le persone (questo il significato della loro posa mentre ruotano). Ad ogni modo ci dirigiamo al luogo segnalatoci, si tratta di un locale all’interno dell’università della cultura. La danza è coinvolgente, la musica trascina in epoche lontane ed una strana forma di misticismo pervade la sala. Al termine della preghiera, usciamo nel cortile dell’università dove un gruppo di giovani ha circondato quello che sembrerebbe essere un professore universitario o comunque qualcuno di noto in campo dervish. Lo riempiono di regali e tutti sembrano essere rapiti dalle sue parole. Non capiamo chi possa essere ma nel dubbio gli facciamo qualche foto, ripromettendoci di chiedere maggiori informazioni a Serkan.
Naturalmente il tempo passa e noi ce ne dimentichiamo, fino a quando una sera a tavola con Cengiz e Serkan non esce l’argomento e prontamente mostriamo la foto. Scopriamo che si tratta del pronipote di Mevlana, colui che ha fondato la confraternita sufi, da cui derivano anche i dervishi rotanti! Cengiz, che in parte si definisce sufista, non perde l’occasione di invitarci ad un incontro con lui. Per intenderci i sufisti nell’islam, sono l’equivalente dei francescani nella religione cristiana. Professano la povertà, l’uguaglianza e sono più un movimento filosofico che non una religione. Gli incontri consistono nella lettura del Masnavi, l’equivalente del Corano, un testo molto complicato che richiede delle lezioni per essere capito. Lezioni in cui il maestro legge agli studenti una parte del libro e ne spiega poi il significato. Partecipiamo quindi ad uno di questi incontri, in una piccola sala, nel totale silenzio, gli studenti ascoltano rapiti la lettura del libro. Noi ascoltiamo mezzo rapiti mezzo addormentati, dato che non capiamo una parola di ciò che si sta leggendo! Ad ogni modo l’atmosfera è comunque coinvolgente e gli sguardi estasiati degli studenti ci fanno intendere che ciò che viene detto è davvero molto importante ed affascinante.
Ciò che capiamo chiaramente sono le parole di Cengiz che, poco prima della nostra partenza, ci dice che a suo avviso gli unici veri dervish siamo noi. Noi che abbiamo abbandonato il comfort delle nostre case, noi che viviamo in strada con poco, noi che abbiamo deciso di scoprire il mondo ed aprirci alle altre culture e religioni. Per lui, così dice, noi siamo dervish e noi ne siamo onorati!
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