In due parliamo bene cinque lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco; se in buona parte del mondo sono sufficienti, al di là del Bosforo, in Asia, non servono assolutamente a niente. Zero. È come se parlassimo solo il nostro romanaccio! E allora come si fa?
Per fortuna ci sono diverse possibilità, dal gesticolare, al dizionario fotografico, fino ai moderni traduttori in Internet. Unica eccezione quando ci separa qualche barriera culturale, perché – si sa – non c’è peggior sordo di chi non vuole intendere.
Comunicare è importante in un viaggio in cui la conoscenza delle culture e dei popoli è uno dei principali obiettivi. In Europa dell’Est non è stato troppo difficile grazie alle nostre conoscenze o all’incontro con persone che erano state in Italia. È stato in Turchia dove per la prima volta abbiamo trovato una lingua sconosciuta, incomprensibile. A Istanbul ci siamo fermati due settimane e i nostri mentori Cemil e Yasin ci hanno insegnato le basi del turco: per attraversare la Turchia abbiamo impiegato due mesi e mezzo e non abbiamo incontrato nessuno che parlasse almeno un minimo d’inglese; chi diceva di conoscerlo sapeva pronunciare a malapena good morning… Ma dobbiamo dire che ce la siamo cavata piuttosto bene!
TURCO…
Viaggiando il nostro turco è migliorato molto, ed usciti dalla Turchia abbiamo scoperto che era anche molto utile: a parte la Georgia, dalla lingua e dall’alfabeto incomprensibili, già in Azerbaijan abbiamo scoperto che l’azero è molto simile e bene o male riuscivamo a comunicare. Passato il Mar Caspio ci aspetta una bella sorpresa: il turco è la radice di kazako, uzbeko e kirghiso; addirittura in Cina, nella regione a Nord ovest dello Xinjiang, gli Uyghur, maggioranza etnica, parlano la loro lingua di radice turca e noi eravamo stupefatti perché parlando il turco eravamo capiti in… Cina. In tutti questi paesi quindi un minimo di parole come mangiare e dormire, o i numeri, fondamentali quando si fa la spesa o bisogna trattare qualsiasi cosa, erano uguali o simili al turco e quindi di facile apprendimento. Unica eccezione in Tagikistan, dove la lingua madre è copmletamente diversa e molto simile al farsi iraniano.
…O RUSSO?
Se si vuole fare un viaggio tranquillo in Asia centrale (e Regione caucasica), più delle lingue locali bisogna conoscere il russo, retaggio dell’ex Unione sovietica: da quelle parti sono assolutamente bilingui, anche in Tagikistan: il russo è parlato da tutti, per tanta gente è la lingua madre, viene parlato in casa e nei negozi e le scritte sono in cirillico. Abbiamo cercato di impararlo, ma per noi è stata una lingua un po’ ostica e di non troppo gradimento. Georgia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan ci perdoneranno.
E così si arriva in Cina. Un miliardo e mezzo di persone che oltre alle lingue locali come il tibetano o il simil-turco degli Uyghur, parlano solo ed esclusivamente cinese.
CINA
Dopo il Bosforo c’è la Grande Muraglia e il primo approccio è terribile, non si riesce proprio a comunicare. E non solo il primo approccio, ma anche il secondo, il terzo, il quarto. A volte sono disarmanti, nel senso che neanche dopo aver imparato alcune parole base ti capiscono; forse a causa della tua pronuncia sbagliata. Quindi devono entrare in gioco altri sistemi di comunicazione. Il primo, nel quale noi italiani siamo dei fenomeni, è il gesticolare, ma se funziona alla grande in Turchia o in Est Europa, in Cina spesso e volentieri non funziona per niente: non ci capiscono, hanno gesti diversi e si possono anche rischiare incomprensioni.
Addirittura i numeri sono diversi! Nelle foto qui sotto c’è Simona sulla destra ed un cinese a caso sulla sinistra che mostrano i numeri con le mani… Se da 1 a 5 ancora riusciamo a capirci, dal 6 al 10 sono completamente differenti!
POINT IT E CARTINA
Imparare i rudimenti della lingua? Le parole in Cina non sono insiemi di lettere, ma i cosiddetti pittogrammi: una parola, un pittogramma (o due). I caratteri cinesi sono oltre 43 mila, conoscerne duemila costituisce solo la base dell’alfabetizzazione, e dati i tempi del visto cinese forse è meglio ricorrere ad altre soluzioni. Come il Point it, un dizionario illustrato, un libricino con le foto di tutto quello che può servire a un viaggiatore. Così se fai vedere a un tizio la foto di un pomodoro lui ti dice dove andare a comprarlo. Lo abbiamo usato tantissimo, oltre che per fare la spesa, anche quando pedalavamo in piccole strade secondarie: c’è infatti una sezione con tutti i tipi di strada, dall’autostrada a quattro corsie con asfalto stupendo fino alla stradaccia brutta e fangosa, dove una macchina ha difficoltà ad avanzare: noi dicevamo il nome di un paio di paesi e ci facevamo indicare su che tipo di strada ci si arriva e spesso la tecnica funzionava per decidere se cambiare strada perché troppo brutta, o per regolarci con i tempi.
Altra cosa i nomi dei paesi. A volte la lo stesso luogo può avere diversi nomi o pronuncie differenti, e poi c’è la provincia, la regione, la prefettura, la contea, la periferia, il centro… Di sicuro c’è che se provi a chiedere indicazioni alle persone in strada difficilmente capiranno a voce a quale paese ti stia riferendo. In questi casi ci è stata molto utile una cartina cartacea con i nomi scritti in inglese, cinese e lingua locale da mostrare all’ignaro passante.
GOOGLE TRANSLATE
Tornando alla questione dei 43 mila caratteri, pensavamo che il cinese fosse una lingua super complicata, difficile da imparare; invece più che altro è una questione di memoria, nel senso che uno impara il carattere e il gioco è fatto, perché i cinesi non hanno genere, declinazioni, coniugazioni; c’è un solo tempo verbale, una specie di infinito. Io andare Laos prossimo mese – dicono – io venire da Italia un anno. E questo cosa implica? Che il traduttore di Google funziona veramente bene (quando funziona con la VPN); grazie a lui siamo riusciti a fare conversazioni anche un pochino più impegnate. Con Google Translate scriviamo sul cellulare in inglese e l’altro legge in cinese, e viceversa. Ovviamente si è legati a una connessione Internet ed alla VPN, per quanto con le app si possono scaricare i pacchetti delle lingue e si possono fare traduzioni offline in entrambe le direzioni. Però quando non si ha Internet funziona molto peggio e spesso ci vuole una buona dose d’interpretazione che i cinesi non hanno.
Oltre a Google la nuova frontiera sono i programmi di messaggistica tipo WhatsApp e Facebook: in Cina non li hanno e usano solo il loro programma che si chiama WeChat, cinese per cinesi: lo abbiamo installato e cominciato ad usare, ed abbiamo scoperto una funzione di traduzione molto efficace. È come se su WhatsApp mandassi un messaggio in inglese e questo arriva direttamente in cinese, e viceversa. Comodissimo per rimanere in contatto con le persone incontrate, ma anche per conversazioni a tu per tu, perché rispetto all’utilizzo di Google Translate risulta molto più pratico: non si è costretti a passare il cellulare di mano in mano con la necessità di cambiare ogni volta tastiera e verso della traduzione. Ci è capitato di comunicare in questo modo diverse volte, anche dentro la stessa casa, con l’interlocutore di spalle o in stanze diverse. Ci parlavamo senza dire un parola, semplicemente digitando e guardando il cellulare. Un po’ inquietante, ma funzionava!
Ma a volte è stato frustrante, nonostante tutti questi sistemi non c’era verso di essere capiti. Provi a gesticolare, fai vedere le figurine di un tenda, di un praticello dove metterla, fai il gesto di dormire… Niente! Allora accendi il computer con Traslate, scrivi: possiamo dormire lì con questa tenda? Fai leggere… a riniente! Con alcune persone non c’è proprio verso. Ci è successo un po’ ovunque, anche in Asia centrale, ma maggiormente in Cina. E non è questione di lingue, visto che siamo riusciti a comunicare con gente che parlava solo il tibetano con i gesti e le espressioni… È differenza di cultura, è una barriera più forte di qualsiasi altra cosa. E non c’è Google che tenga!
Articolo scritto in collaborazione – #BeCycling con Dino