Entriamo in Bulgaria da Bregovo. Qualche chilometro prima del check point incrociamo un gruppo di zingari in bicicletta, ferraglie arrugginite che cigolano ad ogni pedalata. Mentre li sorpassiamo, con i loro sorrisi sdentati e dorati ci chiedono “Bulgaria? Bregovo?” rispondiamo al sorriso ed al nostro esclamare “Sì” scoppiano in una fragorosa risata e ci fanno capire che anche loro sono diretti lì. Sono i primi zingari che incontriamo da quando abbiamo lasciato Roma.
I nostri pregiudizi
L’ingresso in Bulgaria è uno shock, Bregovo è un piccolissimo villaggio di case fatiscenti, spazzatura e cani randagi. La strada che percorriamo per arrivare a Vidin è una stretta autostrada a due corsie sulla quale viaggiano biciclette, carretti, persone a piedi, camion e macchine che sembrano non avere limiti imposti. Siamo davvero lontani dalle città ordinate pulite della Serbia. All’ingresso di Vidin campi rom, carretti che trasportano bobine di rame, centri di raccolta del ferro. Arriviamo a quello che sembra essere il centro del paese percorrendo in piena città una strada sterrata. Ci fermiamo per prendere dei soldi al bancomat, quello che pensiamo essere il centro della cittadina è un concentrato di cani, polvere, ubriachi e gente che ci guarda con sospetto. Siamo talmente condizionati da questi sguardi poco rassicuranti che non ci allontaniamo nemmeno un attimo dalle biciclette, non tiriamo fuori i cellulari e ci ritroviamo noi stessi a guardare con fare sospetto due ragazzi che arrivano al bancomat in sella a due costosissime mountain bike che stimiamo non valgano meno di 2.000 € euro l’una.
Sono talmente pulite che non crediamo i due le utilizzino per fare down hill o altre attività sportive. Inoltre questi hanno un aspetto decisamente in contrasto con il mezzo. Non so quanto dei nostri pensieri sia giustificato, forse siamo molto influenzati dagli sguardi torvi della gente che ci circonda e dall’aspetto da zingari dei due. Questo pensiero mi accompagnerà per tutta la permanenza in Bulgaria. Spesso ci troviamo ad attraversare villaggi che in realtà sono campi rom, nei quali cerchiamo di passare il più velocemente possibile. Non ci sentiamo affatto sicuri. Sarà politicamente scorretto, saremo dei razzisti europei, diteci ciò che volete ma non ci piace il modo in cui guardano noi, i nostri abiti, le nostre bici. Cerchiamo di nasconderci il più possibile per dormire, quando ci fermiamo siamo all’erta e tendiamo a non dare nell’occhio e continuiamo a chiederci se forse non dovremmo indossare altri abiti, coprire i loghi delle bici..insomma apparire meno ricchi di quanto in realtà non siamo. Per la prima volta veniamo pervasi da un profondo senso di insicurezza.
Il nord del paese è la zona più povera e ce ne accorgiamo mentre pedaliamo lungo quella che dovrebbe essere la ciclovia del Danubio. Dovrebbe essere perché di ciclovia ha davvero poco, è una strada stretta percorsa principalmente da camion che corrono come matti e fanno sorpassi da brivido. Come poco prima di Lom, lungo una salita un grosso camion cerca di sorpassarci ma evidentemente non ingrana la marcia giusta per cui ad un tratto si inchioda con tutto il mezzo nella corsia opposta immediatamente sotto un dosso, sono attimi di terrore, se dovesse arrivare una macchina o un camion dalla parte opposta saremmo spacciati. Non possiamo far altro che pedalare come dei forsennati in salita per uscire il più velocemente possibile dal dosso mentre il camion tenta di ripartire. Arriviamo in cima sudati per la fatica e per la paura! Da Lom ci dirigiamo a Monatana, percorrendo sempre una strada statale, di posti per accamparci non ce ne sono poi molti. Ma qualche campo coltivato ci regala di tanto in tanto una buona piazzola ed anche un buon panorama dal quale ammirare un’alba che ci fa dimenticare dove siamo.
La natura cambia tutto
Da Montana decidiamo di allungare la strada per Sofia percorrendo le gole dell’Iskar. In realtà nemmeno sapevamo dell’esistenza di queste gole, le abbiamo scoperte per caso grazie ad una coppia di tedeschi incontrata in Serbia. L’alternativa sarebbe stato un passo montano, sconsigliato per il traffico e la strada poco sicura. Le gole si rivelano una scelta decisamente azzeccata. La Bulgaria cambia completamente aspetto, dopo giorni di colline, campi coltivati a perdita d’occhio e camion, siamo ora all’interno di un paradiso naturale. Le orecchie possono finalmente godersi l’assenza di rumore e le gambe una pedalata piacevole, su asfalto nuovo ed una pendenza decisamente abbordabile (la strada è praticamente tutta in salita fino all’uscita, poco prima di Sofia).
Impieghiamo due giorni per uscire dalle gole, a circa una cinquantina di chilometri da Sofia ci viene incontro in motocicletta Michele, un italiano che vive a Sofia, contattato tramite couchsurfing e che ci ospiterà per la nostra permanenza in città. Stare da lui è davvero un ritorno a casa, in Italia. Ogni tanto ci fa piacere, che dobbiamo fare? Le serate trascorrono tra chiacchiere sulla vita, partite di calcio (Michele è uno Juventino sfegatato e non perde occasione di massacrare Daniele al termine della partita Juve – Roma, con tanto di post su facebook che scatena una rissa virtuale!). Siamo molto colpiti dalla scelta di vita di Michele, ha lasciato in Italia moglie e figlia, per cercare in Bulgaria un futuro lavorativo più appagante di quello che la madre patria gli aveva messo a disposizione. Capiamo che per lui, e per la sua famiglia, è stata una scelta molto difficile ma necessaria.
Ci racconta di come sia difficile vivere lontano e nei pregiudizi delle persone, convinte che la Bulgaria sia il posto in cui trovare un’amante con facilità e non un paese dove cercare di costruirsi un futuro diverso. Continuiamo a chiederci come sia possibile nel 2014 che un uomo, che vive in un paese definito “avanzato” debba lasciare tutto per cercare di costruire il proprio futuro e quello della propria famiglia. Sono scelte che leghiamo al passato, ai migranti del dopo guerra, degli anni 70, sono immagini in bianco e nero di uomini che partivano a cercare fortuna in Germania o che dal Sud migravano verso il Nord d’Italia. Michele non è un neolaurato, non è un giovane senza famiglia, è un uomo, un imprenditore Abbruzzese, è questo ciò che colpisce. Troviamo il tempo inoltre di girare un po’ per la città, anche se fare i turisti proprio non ci appassiona affatto.
Tra l’altro si rivela una città davvero antibicicletta, vuoi per le strade a 4 corsie che attraversano anche il centro storico, vuoi per la presenza di san pietrini, vuoi per la totale non curanza degli automobilisti che se potessero ci passerebbero sopra senza alcun problema. Insomma non è una città a misura di bicicletta. Ma nel poco tempo che trascorriamo nell’enorme piazza stile sovietica davanti la cattedrale Nijevskj, incontriamo ben due coppie di cicloviaggiatori (rigorosamente a piedi) l’una è una coppia svizzera che viaggia in tandem e bizzarria vuole che proprio Michele l’avesse incontrata qualche giorno prima sul passo montano che da Montana porta a Sofia. L’altra una coppia Serba con bambino di 7 anni, in viaggio da mesi attraverso il Sud-Est Asiatico, l’Asia Centrale ed ora di ritorno a casa. Ci scambiano come sempre sensazioni e consigli di viaggio.
Ci ritroviamo a condividere con la coppia svizzera il senso di disagio nell’entrare a Nord della Bulgaria, ed a raccogliere informazioni sulla strada che dovremo percorrere in Russia e Kazakistan dalla coppia serba. Appena li salutiamo ci ritroviamo a riflettere sul fatto che sono i primi serbi viaggiatori che incontriamo, nemmeno su internet abbiamo trovato traccia di altri. E ci chiediamo quanto questo possa dipendere dalla cultura o dalla ricchezza di una nazione. Lasciamo Sofia, più che altro Michele, con un po’ di malinconia, con un senso di commozione. Nel poco tempo che siamo stati assieme ci siamo davvero molto affezionati!
La storia ammorbidisce i pensieri
Uscire da Sofia è davvero difficile, l’unica strada percorribile è un’autostrada per un tratto vietata alle biciclette. Ci ritroviamo quindi a girare e rigirare all’interno di un parco allungando di parecchio il percorso fino a ritrovarci finalmente sulla via giusta, ovvero sempre l’autostrada ma senza divieto! Infatti da Sofia a Plovdiv la percorriamo tutta, già perché l’autostrada dispone di una bellissima e larga corsia di servizio sulla quale possiamo pedalare tranquillamente, tentiamo qualche volta di rientrare sulla statale, giusto per risposarci dal rumore delle macchine e dei camion, ma spesso la troviamo in condizioni davvero pietose.
Buche enormi, voragini nelle quali possiamo finire con tutta la bicicletta! E camion che adorano il sorpasso a bruciapelo! L’autostrada si rivela la scelta più comoda. Inoltre sviluppiamo strada facendo una certa passione per le pompe di benzina. E’ vero, viaggiamo con la targa “No Oil” attacata sulla bicicletta, ma come non adorare dei posti dove si trovano bagni puliti, tavolini dove poter consumare il proprio cibo (già perché qui non esiste il cartello “solo per clienti del bar”!) ed una connessione Wi-Fi grauita? Siamo talmente innamorati che stabiliamo di dover riuscire almeno una notte a dormire in uno di questi posti.
Arriviamo dopo un paio di giorni a Plovdiv, cittadina che lascia davvero a bocca aperta. Si tratta dell’antica Filippopoli ed è il fiore all’occhielo della Bulgaria. Basta camminare qualche minuto per il centro storico e se ne capisce il motivo. Una lunga strada pedonale percorre tutto il centro, strada incastonata da palazzine in stile inizio XX secolo completamente ristrutturate e dai colori vivaci, di tanto in tanto spunta qualche rovina dell’antica città romana tenuta in uno stato di conservazione che dovrebbe far vergognare la nostra città natale.La città vecchia sorge su 7 colline proprio come Roma, da una di queste è possibile ammirare al tramonto uno spettacolo davvero mozzafiato.
Insomma la Bulgaria si sta piano piano rilevando molto più bella di quanto non ci aspettassimo. Certo Plovidi è molto distante dalle cittadine che abbiamo attraversato al nord del paese. Non c’è traccia di povertà, non c’è traccia di insicurezza. Sarà la vicinanza alla nostra cultura e alla nostro modo di vivere, è di nuovo il nostro sciocco provincialismo romano-europeo? La sensazione che però non siamo proprio ben venuti ci accompagna fino al confine con la Turchia. Dopo Plovdiv continuiamo a precorre la statale, per due notti di seguito riusciamo a trovare due posti splendidi dove accamparci.
Una notte la trascorriamo sulle rive di un lago di montagna, nell’aera pic nic di un ristorante ancora aperto nonostante la stagione. Ed una notte coroniamo il nostro sogno di dormire nella verde piazzola del distributore di benzina. In entrambi i casi siamo stati accolti da persone disponibili ma sempre ci pervade questo strano senso di disagio, sarà la scarsa propensione al sorriso di questo popolo? O saranno i nostri pregiudizi? Ancora ci stiamo riflettendo sopra.
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